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LIBRO QUARTO
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I.
I sette antichi Baroni di Morano
(p. 257)
Non occorre invocare l'autorità di sommi uomini, per sostenere che la tradizione ha sempre l'impronta della verità, e che anzi fu essa la madre della storia.
Or dunque in questa città conservasi una tradizione antica quanto popolare, la quale narra che "a Morano, a tempo vetusto, ci furono sette baroni e tutti abitarono dentro le mura dell'antica città." E se questo numero, nel 1515, può sembrare a primo tratto eccessivo, basterà a convincerne del contrario il considerare che, dopo il 1600, se ne possono contare anche più.
Devesi peraltro comprendere nel novero di que' sette baroni il vero barone feudatario di Morano, che allora abitava il castello fra le mura, che in tutti i tempi fece parte della nobiltà di Morano, nella Congrega dei nobili, nel seggio, tra i patronati gentilizi, tra le poche tombe vetuste, nella Congrega dei 24 gentiluomini, e fu sempre capo e primo signore, gloria e splendore nella nobiltà di Morano.
Vanno inoltre compresi nel numero dei sette baroni, i discendenti delle tre case ex-feudatarie; nonchè tre case suffeudatarie di nobiltà vetusta. In caso diverso, non potrebbe invero spiegarsi l'esistenza contemporanea di sette baroni in una terra feudale, nè in alcun tempo si giungerebbe ad enumerarne sette, tutti residenti nell'antica città, giusto la costante tradizione; nei pari poi se volessimo escludere dai sette
(p.258)
baroni del 1515 i tre suffeudatari come immeritevoli di simile titolo, non sarebbe facile sostituirli con altri tre di famiglie più distinte a quell'epoca.
Or ecco l'elenco de'sette antichi baroni, registrati secondo l'ordine che spetta loro in forza della documentata antichità di loro famiglie:
Salimbeni, antico signore di Castel Salimbeni ed altre terre, prima del mille; feudatario di prima classe di S. Quirico, Orcia ed Arentino nella Toscana, con real diploma di Carlo I d'Angiò del 1269, ed altri in date posteriori, che venne in Morano alla metà del secolo XV. Abitò sempre fra le mura.
Pappasidero, feudatario della terra di Pappasidero, riconosciuto e confermato per tale con diploma dell'imperatore Enrico VI nel 1196, e da altro di pari data che concesse tre feudi alla stessa famiglia. Abitò sempre fra le antiche mura.
Fasanella, signore di Morano, Cirella, Grisolia, dal 1200 circa, a fede di vari scrittori. Dopo ebbe altri feudi. Abitò sempre fra le mura.
Sanseverino, primo barone del regno, discendente da Targisio, gentiluomo normanno, che venne in Napoli al tempio di Roberto Guiscardo. Gli spetta questo numero perchè divenne signore di Morano solo alla fine del secolo XV. Abitò sempre il castello fin dopo il 1515.
De Feulo, suffeudatario in Morano, da epoca che non mi è dato precisare, ma certo prima del 1500. Abitò sempre fra le antiche mura.
Della Pilosella, suffeudataria da tempo che non so precisare, ma certo prima del 1500. Abitò sempre fra le mura, prima alla piazza, poi all'Ospizio.
De Pizzo, che, qualificato nobile della città di Fondi nel 1500, divenne suffeudatario in Morano con diploma del principe di Bisignano nel 1515, quando si completò il numero dei sette baroni. Abitò prima il castello col principe, poi a S. Nicola, sempre dentro le mura.
I tre ex-feudatari Salimbena, Pappasidero e Fasanella si rassomigliano fra di loro anche perchè quel dominio, che avevano ottenuto dalle sovrane concessioni, in date così vicine le une alle altre, cessò, per confisca politica, in pari
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epoca, ed il tempo coprì con l'obblio i bei feudi, le confische ed i feudatari: all'opposto di certi piccoli suffeudatari di cui ancora non abbiamo parlato, i quali ne rammentano il noto fatto del barone del Fico!
Il lettore si chiederà certamente come mai non rimangano traccie più luminose dei proverbiali sette baroni, e di altri che esisterono in Morano in tempi anteriori e posteriori.
Risponderò come posso.
Tre sono le cause: la mancanza di vetusti documenti, l'orgoglio del barone feudatario, l'orgoglio degli stessi magnifici:
Se non fa meraviglia trovarsi all'oscuro dopo che si sono smorzati i lumi, neppure dovrebbe recar stupore il difetto di notizie dopo che furono distrutti od occultati i vetusti documenti; ma è poi vero che di certe famiglie che tanto brillarono nei remoti secoli, la Salimbena, la Pappasidero, la Fasanella, non resta tuttora qualche documento, qualche prova lampante, qualche luminosa traccia?
Mi proverò dimostrare il contrario in seguito, e d'altronde in parte lo vedemmo nei capitoli precedenti.
La seconda causa fu certo l'intolleranza del principe feudatario, che giustamente si credeva l'unico e solo barone attuale in Morano.
Infatti, finchè durò il dominio della Casa Sanseverino, tanto terribile, al dire dello stesso Scorza, in Morano no si scrisse alcun nome preceduto dal titolo di barone, neppure per le sette tradizionali case baronali; questo però non impedì che continuassero ad essere tali in realtà, giusta la tradizione ed i diplomi reali.
Estinto il ramo diretto dei principi di Bisignano in Nicolò Bernardino Sanseverino, verso il 1600, è surto fiero litigio fra i vari pretendenti, la successione ricadde al re Filippo. In alcuni documenti del principio del secolo XVII, si trovano notizie non già di due soli, ma di quattro baroni dimoranti in Morano. Quattro infatti ne rilevo solo in due documenti, il processo a carico del sindaco omicida, ed una convenzione stipulata per notar Lepotte. Nel primo, al folio 25, a piè d'una dichiarazione è firmato il Barone Salmena, e certo così dovè firmarsi, perchè il governatore avea scritto in cima della
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dichiarazione Barone Salimena, e questi era quel magnifico Matteo Salimbena o Salmena, consorte di donna Vittoria De Leo. L'altro documento del 1624, per notar Francesco Lepotte, porta le firme di tre baroni, cioè quella di Muzio de Guaragna, di Giovan Cristoforo Tufarelli e di Persio Tufarelli barone di S. Basilio.
La terza causa e la più positiva fu l'orgoglio degli stessi signori discendenti d'antichi feudatari, specialmente quelli di prima classe, qualità che bastava a conferir loro titolo di nobiltà!... il che, unito ai titoli che avevano in forza della loro nobiltà generosa, faceva loro tener in dispregio quello di barone che conferiva loro la dipendente e soggetta feudalità.
Se così non fosse stato, come si spiegherebbe l'esistenza indubitata dei sette tradizionali baroni antichi, col non trovarne uno solo nominato per tale? mentre i reali diplomi ce ne mostrano tre di prima classe, Salimbena, Pappasidero e Fasanella, oltre quelli di seconda classe e suffeudatari?
I signori delle grandi famiglie, ed in specie le case Salmena, Pappasidero, Fasanella, siccome dimostrammo per mezzo di esempi, vollero sembre essere ritenuti e qualificati per signori, gentiluomini e magnifici, e le loro madri, consorti, sorelle e figlie per magnifiche, signore, gentildonne e donne.
Abbiamo già parlato diffusamente del valore degli antichi titoli ed epiteti, e non vale la pena ripeterlo, ma è bene ricordare che quegli antichi epiteti di gentiluomo, magnifico, signore e donna indicavano in ogni individuo delle grandi famiglie, il gentiluomo con giurisdizione, il nobile ex-genere, il magnifico e la donna distinta, mentre le voci barone e baronessa non erano che epiteti di vassallaggio.
Variano gli usi a seconda dei tempi de dei luoghi, dice De Luca, e perciò oggi la cosa è diversa. Dacchè cadde in disuso il magnifico, dacchè il gentiluomo va confuso col galantuomo, da che la parola signore serve a designare indifferentemente il patrizio, il borghese e fin le persone del popolo, solo un titolo d'antichissima concessione sovrana, indica il signore nobile ex-genere, il discendente da gentiluomo con giurisdizione, la nobiltà magnatizia.
...
(p. 262)
Com'è noto, vi sono due specie di nobiltà: La prima, la più stimata, è la naturale - la seconda è la legale, e vien tenuta in menor pregio, ed il celebre De Luca la chiama artificiale, perchè posa tutta su la patente reale, e solo al sovrano è permesso con una specie di finzione cambiare la condizione delle persone che fa nobili oggi, mentre ieri non lo erano!
L'una e l'altra specie di nobiltà ebbe i suoi titoli. Il nobile ex-genere, il patrizio, il magnate ebbe titolo di magnifico - eccellente - signore. Altri ne ebbe la feudale.
(p. 263)
La voce normanna barone (uomo libero) non è titolo di concessione, è voce generica per indicare con titolo feudale un conte, un marchese, un duca, un principe, e quasi per tutta Italia l'epiteto di gentiluomo (nobile ex-genere) indicò anche il gentiluomo con giurisdizione come la voce barone, confondendo il nobile naturale, col nobile legale; mentre ordinariamente al solo nobile si conferiva la dignità feudale, fino a che presso di noi, come dice il Colletta: "Vicerè avari, per vile prezzo, vendettero a ricchi plebei la dignità feudale che avvilirono."
Per tutto ciò, a Morano, fu sempre confuso il nobile ex-genere, ed il feudatario, nei titoli di gentiluomo di qualità - gentiluomo distinto - padrone - signore - magnifico, talchè solo fra questa cerchia si trovano i sette baroni tradizionali, fuori no!
...
Vediamo quanti feudatari, ex-feudatari e suffeudatari si contavano nel secolo XVI e dopo.
Salimbena - Salimmena - Salmena;
De Feulo;
Della Pilosella;
De Pizzo. - Sono le quattro case nominate prima;
Il commendatario di S. Giovanni Gerosolimitano di Castrovillari, che da epoca incerta ebbe in Morano un benefizio, feudo o suffeudo, di S. Filippo e Giacomo, feudo che appartiene alla casa Salmena dal 1835;
Pappasidero magnifico Iacobo Antonio di Castrovillari, discendente dall'ex-feudatario, che divenne suffeudatario dello stesso feudo di Oliveto con diploma del principe in data
(p. 264)
del 1538. Dal 1834, questo ex-feudo, dal principe passò alla casa Salmena assieme ad altro feudo;
Fasanella magnifico Pietruccio di Castrovillari, discendente dall'ex-feudatario di Morano, Cirella e Grisolio, che divenne in Morano suffeudatario del principe con diploma del 1538;
Campilongo "discendente dai baroni Normanni" venuto in Morano dal 1580 circa senza feudo o suffeudo, benchè altri di sua famiglia avessero in feudo e suffeudo varie terre della nostra Calabria;
Rende Luca Antonio di Morano ebbe la giurisdizione criminale di Mormanno, e la cedè poi a
De Guaragna Muzio, barone di Mormanno verso il 1620;
Tufarelli Giovanni Cristofaro, barone di Porcile o Frascineto dal 1620 circa;
Tufarelli Persio barone di S. Basilio alla stessa epoca. - Poi permutò S. Basilio con Mormanno con De Guaragna;
Pruvenzali Girolamo ebbe da De Guaragna il feudo di Roseto alla stessa epoca.
È curioso che lo Scorza, di questi cinque baroni della medesima epoca, non abbia voluto nominare che due soli mentre ci furono delle relazioni fra di loro. Il nominato De Guaragna comprò dall'innominato Rende, Mormanno, come vendè Roseto all'altro innominato Pruvenzale.
Nomina Giovan Cristofaro Tufarelli e non il germano Persio barone di S. Basilio, e poi di Mormanno per la permuta con De Guaragna. Avrebbe potuto anzi notare che solo Persio ed i suoi discendenti passati in Mormanno, mantenero il titolo di barone, all'opposto degli altri.
Mi pare inoltre che De Guaragna non fu contemporaneamente signore di due suffeudi. Lo fu di Roseto - Mormanno e S. Basilio in anni diversi, ed opino che nè De Guaragna, nè Tufarelli Giovan Cristofaro, si possono dire a buon dritto dei baroni di Mormanno e Frascineto; bensì baroni di Mormanno e Frascineto stantechè essi furono i primi e gli ultimi baroni delle loro case;
Spinello Ettore principe della Scalea, benchè dal
(p. 265)
1610 comprasse dalla Regia Corte una rendita burgensatica su i fiscali di Morano; pure soltanto nel 1648 divenne feudatario di Morano come nota Domenico Martire.
Non mi azzardo a definire tutti questi signori, mancando notizie precise,...
(p. 265)
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II.
Campolongo
Dal 1580 circa la casa Campolongo fu tra le più distinte in Morano e si estinse in Napoli dopo il 1800, e non so precisare l'epoca del suo trasferimento in questa città, nè le circostanze che a ciò fare la spinsero. Neppure si può indicare con facilità da quale dei diversi rami discendeva quello che in Morano si stabilì.
Comunque sia però è accertato che essa vantava la propria origine dal ceppo del Normanno che è la gloria dei Campolonghi.
Prima del 1580 non si hanno traccie di Morano in questa casata e nemmeno si legge fra le dodici del Monte al 1581. All'opposto dopo in ogni tempo si trovano notizie di numerosi signori, signore e sacerdoti di questo comune.
Ecco ciò che indusse a credere che dopo il 1580 appunto essa prendesse stanza in Morano.
(p. 266)
La Casa Campolongo in Morano non fu casa feudataria, nè suffeudataria, ma venne sempre ritenuta de' baroni Campolongo da qualunque ramo discendesse.
La casa Campolongo vantò e vanta origine normanna feudataria dall'undecimo secolo, come leggo nella storia genealogica, e nell'albero di D. Francesco barone Campolongo di S. Marco, unito in matrimonio con D.a Giulia Bosco, mia nipote.
Da Napoli la famiglia si diramò in diversi luoghi della Calabria, e ci ebbe diversi feudi a cominciare dal capostipite Giacomo, verso il 1100.
Felice Campolongo fu poi barone di Pietraformosa e famigliare di Carlo V.
Giacomo capitano di cavalleria di Carlo V nel 1536.
Muzio fu barone di Acquaformosa.
Giovanni cavaliere di Malta.
Michele barone di San Donato, progenitore dell'attuale barone.
Francesco Campolongo di Altomonte fu barone di Lungro e Firmo, e lo fu pure di Porcile (poi Frascineto) per aver sposato Dianora Policastrella di Castrovillari verso il 1580...
Campolongo fu anche barone di S. Basile.
(p. 267)
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III.
Fasanella
Fasanella di Filippo - Fasanella de Philippis - Fasanella Morano - Fasanella Morano di Catanzaro.
Ecco un'altra antichissima famiglia, illustrissima, originaria di Morano, padrona anzi di Morano per lunghi secoli, è ricordata perciò da vari autori e documenti, benchè la confondessero in più modi.
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(p. 268)
Nella stampa dell'avvocato Toscano a pro' di S. Pietro leggesi il certificato del notaro apostolico D. Domenico D'Ajello da cui risulta che nel 1734 esisteva ancora nella chiesa di S. Pietro "un sarcofago con le armi dell'illustre famiglia Fasanella ed una cappella con la stessa impresa."
Nella stessa stampa si legge un rapporto del parroco di S. Pietro al Vescovo così concepito: "Avrà vostra signoria illustrissima e reverendissima informazione che circa l'anno del Signore 1536, il principe di Bisignano Bernardino cercò all'arciprete di Morano una cappella del signor Aloisio Fasanella, dove lo detto signore era sepolto magnificamente e l'arciprete non ce la volse dare perchè non poteva, per disgusto questi fabbrica una cappella nella Maddalena."
...Sarcofago stemmato - sontuose cappelle - ornati sepolcri - come l'illustre famiglia - il signore - il magnificamente - i padroni di più terre - i gentiluomini - ci definiscono i Fusanella (sic) citati in preferenza degli altri innumerevoli gentiluomini che fecero onore a Morano.
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Il P.[adre] Fiore nel 1691 scrisse: "Morano dal 1200 circa fu sotto il dominio della casa Fasanella sua concittadina; però egli è più certo che per detto tempo vi dominava la famiglia, oggidì Morano Catanzaro dal lungo dominio di questa terra; può essere che gli antichi signori di questa casa lasciarono in cognome Fasanella e presero quello di Morano. Comunque si fosse, Apollonio Morano che ne era
(p. 269)
signore l'anno 1239, la di cui posterità ne tirò la signoria fino a Giovan Girolamo, li di cui figli, Francesco, Mazzeo ed Antonio, in pena di aver seguite le parti del duca Giovanni, ne vennero spogliati da Ferdinando il Vecchio che ne investì D. Luca Sanseverino duca di S. Marco, primo principe di Bisignano."
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[Il sacerdote cosentino D.] Domenico Martire segna così la genealogia della detta casata:
Tangredi Fasanella ed altri circa l'undecimo secolo.
Apollonio Morano nel 1239.
Tangredi figlio nel 1250.
Apollonio figlio nel 1296.
Scipione figlio.
Giovan Girolamo figlio.
Francesco ed altri figli, per essere stati ribelli, furono spogliati d'ogni avere e venne data detta terra a Luca Sanseverino
Dal 1200 circa fino al 1239, la signoria della casa moranese non era stata di sì lunga durata da far dimenticare il cognome Fasanella, supposto che si fosse chiamata Morano col nome della signoria.
Lo stesso osservo a Domenico Martire, ed anche al chiarissimo Carlo de Lellis, che cita ad esempio Sanseverino che assunse come altri il cognome dal feudo.
Il discendente del normanno Targisio pel feudo di Sanseverino così si cognominò è vero; ma Fasanella ritenne sempre il suo cognome, e non altro che aggiunta di titolo fu il Morano, Morano Catanzaro, come pure a distinzione dei rami si aggiunse di Filippo, poi de Filippi, ed in latino De Philippis, come vedremo da ciò che resta a dirsi.
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(p. 278)
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V.
I baroni de Guaragna e Tufarelli
Dei tre baroni dell'epoca più recente de Guaragna Muzio Tufarelli Giovan Cristoforo e Turfarelli Persio, che in tutto si rassomigliarono fra di loro, per quanto furono dissimili degli altri tre utili signori dell'epoca più remota, ne farò un cenno in comune, per non dilungarmi senza necessità.
In un protocollo di notar Francesco Lepotte, che si conserva nell'archivio di mia famiglia, trovasi un istrumento del 2 Marzo 1624 in cui si legge, "che gl'intimi parenti, l'U. I. D. Muzio de Guaragna barone di Mormanno: Pietro Antonio De Feulo; Giovan Cristoforo Tufarelli barone di Porcile; e Persio Tufarelli barone di S. Basilio si unirono per sollevare De Guaragna oppresso da finanziario dissesto."
Questo documento autentico è sufficiente per accertare l'esistenza dei tre baroni nel 1624, come pure quella dei rispettivi tre feudi o suffeudi.
Vediamo ora l'origine di queste tre baronie di una stessa epoca, della stessa natura e di breve durata, che sorte contemporaneamente ebbero del pari un comune tramonto.
(p. 279)
Dopo il 1600 troviamo Muzio De Guaragna barone di Mormanno, ed alla stess'epoca rimontano i baroni Tufarelli, come ce lo attestano i dati seguenti: Il Casale Albanese Porcile seu Frascineto fu fondato dal vescovo di Cassano verso il 1490 giusta l'osservazione di Loccaso nell'istoria di Castrovillari, che ricorda e cita i capitoli stipulati all'oggetto tra il Vescovo e gli Albanesi. Il Casale fu posseduto da vari, e sul finire del secolo XVI, dalla casa Campolongo barone di Lungra e Firma passò al duca di Castrovillari Spinelli Cariati dal quale, alquanto dopo il 1600, l'ebbe Giovan Cristoforo Tufarelli.
I Seniori della Maddalena dunque esagerarono chiamando Giovan Cristoforo Tufarelli antico barone di Porcile seu Frascineto.
La baronia di San Basilio, poi anche Casale Albanese, ha più recente origine. Lo stesso Loccaso con precisione le assegna la data di 1510. Fu fondato dal Vescovo di Cassano, nella contrada da cui prese in nome, per l'antico monastero dedicato a S. Basilio Craterense. Anche questo Casale ebbe diversi signori, se non erro, prima che dalla casa Campolongo passasse a'Tufarelli.
I tre feudi sudetti di Mormanno, Frascineto e S. Basilio aveano la giurisdizione dimezzata rimanendo al Vescovo la civile ed egli si firmava, come tuttora, barone di Mormanno, Trebisaccia e S. Basilio.
Più tardi, Persio Tufarelli divenuto barone di Mormanno colà si trasferì, e vedremo pure un De Guaragna, barone di S. Basilio, per breve spazio di tempo.
Il dottor Muzio De Guaragna precisamente acquistò per permuta la giurisdizione criminale di Mormanno da Luca Antonio Rende di Morano; così si legge un una platea della casa Guaragna di Ferrosanto. Nel 1638 Francesco De Guaragna la permutò con Persio Tufarelli, che così divenne barone di Mormanno. I discendenti ritengono, sulla fede di P. Fiore, il quale dice "essendone stati altra volta padroni i principi di Bisignano" che l'avessero avuta da' Sanseverino.
Dai due baroni Tuffarelli, e dal terzo germano Rotilio vantarono l'origine quanti con questo cognome si videro a
(p. 280)
Morano - Mormanno - Cassano - Saracena; ma noi ci occuperemo solo dei rami di Morano.
Il barone Giovan Cristoforo ebbe 10 figli e varie figlie, molti de' quali si accasarono e tutto dava a credere che dopo poche generazioni questa sola discendenza avrebbe raggiunta la posterità del patriarca Giacobbe...
Nei numerosi rami di Morano ci furono moltissimi sacerdoti - Canonici cappellani Curati della Maddalena - Arcipreti di S. Pietro - Dottori in sacra teologia - Uomini illustri - Dottori in leggi anche fra gli ecclesiastici - Notari - Medici e vari agentari generali del principe Spinelli Scalea, e perciò quasi tutti hanno lasciato imperituri ricordi della famiglia tanto illustre e numerosa, ma condannata ad estinguersi nei pronipoti del barone di Frascineto.
Il barone Giovan Cristoforo nel 1619 avea assegnato a suo figlio Glaminio un capitale per la celebrazione di un dato numero di messe annuali. Da questo legato ebbe origine, poco dopo, la strepitosa questione che durò di oltre un secolo tra la cappella di S. Anna e le famiglie De Bisignano, Tufarelli e Guaragna, legate in parentela. Se ne compilarono grossi volumi a stampa che ci ricordano assai bene i Tufarelli delle quattro generazioni, e vari loro parenti.
Nè ricordi di minor valore ci lasciò sulla estinta famiglia il reverendo D. Antonio Tufarelli, che con dolore potè chiamarsi nel 1763 l'ultimo discendente del barone Giovan Cristoforo Tufarelli. D. Antonio, avendo in sè riunita l'eredità di tutti, fondò varie ricche cappellanie in S. Pietro e nella Maddalena lasciò vari legati e donazioni e traslocò l'altare di S. Silvestro appartenente alla famiglia, dalla chiesa della Maddalena nella sacrestia, ponendovi l'iscrizione in marmo che rimarrà ad eterno ricordo dell'illustre casata.
Come si può dimenticare il Tufarelli barone di Frascineto benchè di breve durata fosse il suo periodo, cioè dal 1600 circa fino al 1630, quando depose il titolo per essersi venduto il feudo al principe di Cariati? Altra strepitosa lite sostennero i Tufarelli, ma invano, contro la causa Spinelli Cariati per reclamare il feudo di Frascineto (2).
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(p. 282)
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Muzio De Guaragna nel 1624 era barone di Mormanno, come Persio Thofarello lo era di S. Basilio. Poco dopo le parti s'invertirono. Questi divenne signore di Mormanno, e quegli di S. Basilio di cui anche si dimise a' 7 ottobre 1643, come da atto autentico di notar Giovan Domenico Rossi. Presso il notaro D. Antonio Stabile se ne conserva il solo elenco in cui si legge quanto segue: "Donna Isabella Caracciolo principessa di Scalea - D. Francesco, Giuseppe, e Biagio De Guaragna - Donna Cardinia Galluppo (4) di Saracena - Compra e Vendita - Il Casale di S. Basilio con tutti i suoi diritti, azioni, aziende, vassallaggio, angarie, e fondi per la somma di ducati 2500."
Avendo detto il notaro che De Guaragna e Galluppi erano di Saracena, rileviamo che da molti anni questa casa era emigrata da Morano, dove non più ritornò.
Ciò per S. Basilio in possesso dei De Guaragna.
Per Mormanno proprietà di Tufarelli vi ha quel che segue. Il P. Fiore dice: "La giurisdizione Criminale di Mormanno fu do Thofarello con titolo di barone per compra fattane, essendone stati altra volta padroni i principi di Bisignano. La giurisdizione Civile era del Vescovo."
L'abate Troyli aggiunge "che in morte del principe Nicola Bernardino Sanseverino, in cui si estinse la linea
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diretta, i suoi 41 feudi (compreso Mormanno) passarono a Donna Giulia Orsino, dopo al re Filippo IV (che regnò dal 1621) e quindi a Luigi Sanseverino conte della Supenura, eccetto S. Marco e Castrovillari, che un Regio Decreto il donò al duca di Gravina (5).
Ugo di Chiaromonte nel 1101 diede Mormanno in feudo al Vescovo di Cassano. Nel 1433 ne fu separata la giurisdizione Civile dalla Criminale.
Alessandro di Chiaromonte ad imitazione del primo diede allo stesso Vescovo la terra di Trebisaccia. L'una e l'altra donazione furono sovranamente approvate."
È dunque vero che i tre baroni di Mormanno, Porcile e S. Basilio, che vedemmo nel 1624, altrettanto si rassomigliarono fra di loro, per quanto furono dissimili dagli altri tre ex-utili signori di Pappasidero, S. Quirico, Orcia ed Arentino, Morano Cirella e Grisolia di epoca assai remota.
Questi tre furono veri feudatari di 1° Classe per sovrana concessione, ebbero secolare possesso e piena giurisdizione, e cessarono di esserlo per la confisca politica in tempi tanto remoti che appena si hanno memorie dei feudatari, feudi e confische.
Gli altri tre all'opposto, quivi dimoranti da epoca più vicina, e perciò più conosciuti benchè abbiano fiorito per breve lasso di tempo, non furono altro che suffeudatari con giurisdizione dimezzata che sursero e tramontarono in pari epoca, e per tutt'altro che per confisca politica.
La casa di De Guaragna come quella dei Tufarelli, erano site verso S. Pietro, nel circuito delle mura dell'antica città, in opposizione aperta di ciò che pretesero i seniori della Maddalena nel 1734. Tufarelli abitava a Ferrosanto in quel palazzo che ora è di Pietro Mainieri e dei figli del germano Carmine. Questo è troppo noto per chè si possa metter in dubbio.
Quel che non tutti sanno è che la casa De Guaragna era proprio tra i palazzi dei signori Rocco e Serranù e tanto antica che diede in nome ad una delle porte della città "La porta delli Guaragna". Poco prima che nascesse il poeta Biagio [De Guaragna] era stata venduta, ovvero era crollata.
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(p. 286)
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VI
Pappasidero, anticamente Leto, o de Leto, più tardi Alitto
Il conte Passerini, dotto bibliotecario della Nazionale di Firenze, possiede una preziosa cronaca del secolo XVII, a molti scrittori servita di base ai loro lavori. Questo codice fu scritto nel 1673 dall'erudito calabrese cappuccino P. Gesualdo, che al secolo fu chiamato G. F. Lanzetta, e che fu proprio di Morano, siccome già notammo nella nota 54 del 1o libro, a pagina 128.
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(p. 287)
Ritengo che questa casa Alitto, degna fin da quell'epoca d'imparentarsi con sì possente cavaliere, e meritevole di divenire signora di Pappasidero al tempo stesso della denominazione normanna, doveva essere illustre famiglia anche prima di venire nel nostro Regno.
Il P. Fiore nella Calabria illustrata, al 1691, con poche e non troppo chiare parole, pare che anche esso accennasse alla promiscuità del cognome Pappasidero ed Alitto. Egli dice: "Pappasidero fu posseduto da D. Giovanni Pappasidero per servizi prestati all'imperatore Enrico VI - da D. Giovan Francesco Alitto - da D. Antonio Pappacoda per compra dal re Ladistao nel 1390 - ed oggi è della famiglia Alitto con titolo di barone. Diè gran nome a questo paese D. Giovanni Pappasidero."
È facile che una stessa famiglia, da che ebbe il feudo del paese di Pappasidero, si fosse chiamata promiscuamente Leto, Alitto e Pappasidero, e non sarebbe il primo caso. La promiscuità del cognome si verificò in molte famiglie signorili e specialmente nelle feudatarie. In questo caso la promiscuità del cognome, come il possesso del feudo rimonterebbero all'occupazione normanna, che precede quella degli imperatori svevi, come ci accertano due cose...
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(p. 288)
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Ritornando alla promiscuità, o cambiamento del cognome Leto Alitto e Pappasidero, noto aver letto, ma non ricordo dove, che antichissimamente si chiamava Regione il paese che poi appellossi Pappasidero, e che il Leandri Alberti chiama Castello: certo è che, o il paese assunse il nome del suo signore, o pure questi prese il nome del feudo, essendo però più probabile questa seconda versione.
Nicola Leoni negli studi su la magna Grecia e su la Beozia, vol. II, pag. 135, dal numero 146 in avanti, così scrive:
"o perchè nulla avvenne degno di memoria, o perchè poco ci fù trasmesso dagli antichi storici, la storia calabrese, prima che il Regno delle due Sicilie fosse occupato dagli Svevi, tace per qualche tempo.
".... due scrittori parlarono di ciò che avvenne in quei tempi nelle Calabrie, il Maestro Alifero l'uno, Valerio Pappasidero l'altro, nativo di Morano, quegli dettando un opuscolo di poche pagine, e questi un volume intiero alla distesa, diviso in tre parti e seguito da un supplemento, distribuito in quattro lunghe sezioni, e molti altri opuscoli; che meglio enumereremo esponendoli in uno de'capitoli seguenti, tutti dettati in un latino puro ed elegantissimo, con una eloquenza ed aggiustatezza di periodi che encanta....
"L'imperatore Enrico VI, venendo di Germania in Italia, condusse seco Giovanni ed Enrico Kalà, due fratelli, discendenti dal sangue reale d'Inghilterra, a lui molto cari, perchè egli era stato educato insieme con loro, e perchè per opera di loro venne poi a conquistare e ritenere molte parti del
(p. 289)
nostro Regno e molto più delle Calabrie. Obbligato Enrico dalla peste a lasciare (nel 1191) l'assedio di Napoli e ritornare in Germania, pose il comando delle sue milizie, che lasciava nel Regno, in mano ai due fratelli Kalà, dando loro poi non meno in feudo la fortezza e la città di Castrovillari e molte altre terre, onde invigilare e chiamare al suo impero le Calabrie. Questi due fratelli, associando a sè Federico Lancia, come perito dei luoghi, ed inoltrandosi nel Regno, espugnarono in su le prime alcune città nei confini della Lucania, e poscia, spingendosi più innanzi, occuparono Senire (sic) [Senise], Rotonda, Morano, Castrovillari, Cassano ed altre terre e città vicine, fortificandole di armi e di milizie; onde poter resistere ai normanni che occupavano le altre Terre e città d'intorno 8"....
(Questa lettera è firmata Leonardo Lainh e diretta al nobilissimo Giovanni Pappasidero di Morano).
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(p. 294)
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Nel 1485, Giusto Alitto, con gli altri quattro fratelli, prese parte alla Congiura dei Baroni, ed espropriatigli i beni feudali di Calabria, espatriarono tutti (come da altri documenti presso di me). Giusto riparò negli Stati della Chiesa, sotto la protezione del pontefice Innocenzo; Liberio e Francesco in Taranto e Bitonto; Giuseppe in Maratea e Pietro Marco in Montalbano, donde passò in Bisignano, al quale sedile il di lui discendente Giovanbattista era già ascritto nel 1645.
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(p. 297)
VIII.
De Pizzi
La nobile casa De Pizzi giunse in Morano dalla cospicua città di Fondi nel 1500 preciso, la platea di Lavalle ce ne informa, e con altri documenti attesta la nobiltà di essa.
Che cosa fosse questa famiglia prima del 1500, dovremmo dimandarlo alla città donde trasse l'origine. Ma ci basta sapere che era nobile prima di quell'epoca, e come tale si fissò in Morano; siamo pure possessori di un documento da cui può rilevarsi che la casa De Pizzi era nobile e potente in Fondi, prima che s'impegnasse la lotta tra i Francesi e gli Aragonesi, e forse nel seguito subì qualche rovescio di fortuna.
Nel 1500, vari signori della casa De Pizzi presero stanza in Morano, ed infatti, troviamo che il magnifico Domenico fu nominato agentario generale del principe di Bisignano. Siffatta carica in sè stessa non direbbe gran cosa; ma il diploma seguente me informa con maggior precisione della qualità di questo nobile personaggio.
Nel 1515 a l'8 settembre, Domenico De Pizzi divenne anche concessionario del principe Bernardino Sanseverino, che nel diploma e privilegio, fra le altre parole lusinghiere, lo chiama suo benefattore e carissimo compagno (sodalem nostrum Dominicum, Pitium de Civitate Fundorum et abitantem in terrae nostrae Morani).
Il principe inoltre nel lungo diploma si dichiara gratissimo a Pizzi per i servizi che gli prestava e per quelli che gli avea precedentemente prestati anche all'estero; nonchè per averne avuto soccorso nelle sue nesessità; talchè volendosi mostrare grato e generoso per le piccole cose, come per le grandi, gli concedette per sè, suoi eredi e successori in perpetuo, i mulini e le gualchiere [simili] della curia principale di Morano, per il solo pagamento annuo di tomola 450 di frumento, misura napoletana:
(p. 298)
"Et cum omnibus Iuris et Iurisditionibus, actionibus, proprietatibus, prerogativis, et consuetudinis solitis, et consuetis, sicut nostra Curia melius, el plenius tenit et possedit."
Gli concesse inoltre gratis il permesso di poter fabbricare altro mulino, altra gualchiera, una serra ad acqua, una cartiera e qualunque altra macchina simile con le acque che uscivano dai mulini e dalle gualchiere esistenti, potendo il nominato De Pizzi, disporre liberamente, come di cosa propria delle macchine e fabbricati che all'oggetto avrebbe fatto in processo di tempo.
Gli concesse pure di poter far pascolare gratuitamente qualunque numero di animali, di qualsiasi specie in tutti il demani e confini dello Stato, franco da fida, come da qualunque altro pagamento.
Il principe dispone infine, che il privilegiato concessionario De Pizzi nulla dovesse pagare, nè per "Ius Polise, necque pacti" e lo raccomanda "...quam Investituram suam robor, efficaciam veræ realis et effictivalis, possessus, ecc." al figlio del suo diletto genitore, illustrissimo Pietro Antonio Sanseverino conte di Chiaromonte, per quanto gli fosse caro il suo amore, come lo raccomanda a tutti gli ufficiali maggiori e minori, sotto la penale di ducati 1000, per qualunque molestia si arrecasse al menzionato de Pizzi.
Chi non iscorge da questo diploma la straordinaria predilezione del principe a favore del magnifico Domenico de Pizzi, nell'espressioni lusinghiere, nelle gratuite concessioni, nella modica somma fissata per l'acquisto di tutte le macchine e nell'eccezionali concessioni di beni feudali e suoi dritti? In fatti il regio commissario nel 1546, trovò a ridire sulla modicità del canone, dichiarandola contraria alla concessione del feudo, ed anzi espresse alcuni dubbi sulla validità del diploma a favore del de Pizzi.
E sono di gran peso le espressioni piene di stima e di affetto usate dal principe di Bisignano, nell'epoca appunto del suo maggiore splendore, a favore del de Pizzi, che chiama suo carissimo amico, suo compagno, suo benefattore, verso di cui faceva tutto per gratitudine. Si deve ritenere che il magnifico Domenico fosse un gran signore quando potè soccorrere all'estero il principe, suo compagno di sventure, e che, in seguito, caduto in rovina, forse in causa appunto del generoso aiuto prestato al Sanseverino, si trovasse costretto di seguirlo a Morano e di vivere co'mezzi offertigli dalla riconoscenza di lui.
In Morano la casa De Pizzi, aggregata fin dal suo apparire in questa città, nel consorzio dei nobili, vi si mantenne con decoro, fino a tutto il secolo passato in cui si estinse.
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Appartenne alla famiglia De Pizzi il palazzo che fu un tempo di Pappasidero, e che diventato proprietà del principe Sanseverino, venne da questi donato al De Pizzi, come narra la tradizione. Le appartenne pure il fondo Santonicola che oggi è posseduto dalla famiglia Cinque; ed ancora si chiama la Vena di Carlo Pizzi, una grossa sorgente che nasce nello stesso.
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(p. 325)
XI.
Sanseverino
Non occorre parlare della troppo chiara casa Sanseverino, primo barone del regno; mi limiterò a dire di essa quel tanto che ha relazione con Morano.
Targisio, nobilissimo cavaliere normanno, venne nel regno at tempo di Roberto Guiscardo duca di Puglia, da cui fu fatto Conte di Sanseverino. Nel 1084, come dai diplomi della Cava, era già conte ed adottava per cognome il predicato di Sanseverino.
Luca Sanseverino nel 1485 divenne principe di Bisignano, feudo da lui acquistato mediante la somma di 22 mila ducati.
Girolamo II, principe di Bisignano.
Bernardino III, principe, sposò Dianora Piccolomini e ne ebbe Pietro Antonio, IX conte di Tricarico, IV principe di Bisignano, quello stesso che ricevette con tanta splendidezza ne'suoi Stati l'imperatore Carlo V, al ritorno d'Algeri, e ne ebbe il Toson d'oro [esempio]. Pietro Antonio sposò in seconde nozze Evina (sic) Castriota e da questo matrimonio provenne:
Nicolò Bernardino, X conte di Tricarico, V principe di Bisignano, il quale si unì con sacri vincoli alla figlia del Duca d'Urbino, Isabella della Rovere, da cui ebbe un solo figlio, Francesco Teodoro, che premorì al padre in età di 14 anni en in concetto di santità.
È probabile venisse seppellito in Morano, la sua morte essendo accaduta precisamente all'epoca in cui il principe Nicolò Bernardino, dopo aver domandata, ma in vanno, la signorile tomba di Fasanella, all'arciprete di Morano, fondò la cappella gentilizia nella chiesa della Maddalena.
Non essendovi altri discendenti, dopo la morte del principe Nicolò Bernardino, s'estinse in lui la linea diretta dei principi di Bisignano, lasciando i seguenti feudi, secondo Scipione Ammirato:
In Calabria, Bisignano - S. Marco - Cassano - Strongoli - Corigliano - Castrovillari - Acri - Altomonte -
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La Regina - Saracino - Malvito - Luzzi - Rose - Ruggiano - Tarsia - Terranova - Casalnuovo - Trebisaccia - Morano - Mormanno - Abate Marco - Grisolia - Belvedere - Sanguinetto - Bonifati e S. Agata - 12 in Basilicata - 3 in Terra d'Otranto, in tutto 41!
Morto senza eredi Nicolò Bernardino, ultimo principe di Bisignano, insorse fiero litigio nel Sacro Regio Consiglio, tra i molti pretendenti a'suoi stati. Fu favorita donna Giulia Orsini che, morendo, lasciò le sue ragioni sopra gli Stati del principe di Bisignano al re Filippo IV. Il re li concedè a Luigi Sanseverino, conte della Senapara, eccetto S. Marco e Castrovillari, che con regio decreto diede al Duca di Gravina.
Facendo un passo indietro, ricordo che l'illustrissimo Antonio Sanseverino, nel 1452 fondò il monastero di S. Bernardino in Morano. Pare che questo illustrissimo sia quello stesso Antonio che fu Duca di S. Marco, fin dal 1442, e padre di D. Luca, il quale nel 1485 divenne principe di Bisignano, mentre, dal 1452, contrariamente almeno a quanto si pretende da taluni, doveva avere attinenza con Morano.
Figlio di D. Luca fu Girolamo, che con altri baroni venne assassinato nel 1487. Girolamo avea per moglie Bandella Gaetana, e da essi nacquero Bernardino ed altri.
Nel 1495, Ferdinando I d'Aragona restituì i feudi ai baroni ribelli; ma la casa Sanseverino non li ebbe che nel 1505.
La reintegra per mezzo del regio commissario Lavalle, a favore del principe Pietro Antonio Sanseverino si fece nel 1546. Poco dopo si estingueva in Morano la casa Sanseverino, a cui successe la nipote Giulia Orsini ed il suo primo marito Giovan Giacinto Spinelli, marchese di Fuscaldo, e poscia col secondo Tiberio Caraffa.
Non ho già l'intenzione di dare la lunga e complicata genealogia della casa Spinelli, tanto diramata e tanto illustre famiglia in cui si annoverano Grandi di Spagna, Cardinali,
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Vicerè, e che si suddivise in tanti rami, cioè Spinelli di Fuscaldo - Spinelli Savelli di Seminara - Spinelli di Cariati - Spinelli di Castrovillari - Spinelli di Misuraca - Spinelli di Scalea, tutti grandi feudatari.
Tutti questi ed altri rami discendono da quella prosapia, di nobiltà proverbiale prima anche che nel 1535 fosse notata tra i Grandi di Spagna, e prima che imparentasse con la casa granducale dei Medici, dei Gonzaga, Rovere, Toledo, Savelli, Orsini e Borgia.
Don Ettore Spinelli, principe della Scalea, nel 1610 comprò dalla regia corte alcune rendite in burgensatico su vari paesi, ed allora ebbe per la prima volta ingerenza con Morano; ma non già in qualità di utile signore. Invece dal 1606 signoreggiava in Morano D. Giacinto Spinelli marchese di Fuscaldo, come primo marito di Donna Giulia Orsini succeduta al principe di Bisignano suo zio.
La signora Orsini sposò quindi D. Tiberio Caraffa.
D. Ettore Spinelli fu utile signore di Morano dal 1648, come nota Domenico Martire, ed a lui succedettero nella signoria. Trajano che sposò Isabella Caracciolo - Antonio marchese di Misuraca che nel 1685 fu marito di Anna Beatrice Caraffa dei principi di Belvedere - principe (*)Francesco Maria che sposò Rosa Pignatelli - principe Antonio marito di Giovanna Cardines - principe Vincenzo che impalmò Eleonora Ruffo e principe Francesco Girolamo, real Guardia del Corpo a cavallo, che sposò Donna Maddalena Caracciolo - la figlia unica di questi ultimi, Donna Eleonora Spinelli, s'unì in matrimonio col palermitano principe D. Pietro Lanza, signore di Trabbia, Scordia, Butera, ecc., ecc.
Oggi la principessa è vedova, ed il suo secondogenito D. Francesco Lanza, si firma principe della Scalea.
(*)Annotazione: Secondo la sua autobiografia, "comparsa a Venezia nel 1753 negli Opuscoli del Calogerà in 56 pagine in 18a... [lo riporta] Nato il 30 gennaio 1686 in Murano (che il decreto reale del 1861 ratificherà come Morano Calabro, per evitare homonimie post-unitarie) da Antonio... e da Anna Beatrice Caraffa dei Principi di Belvedere... Il 4 aprile del 1752, all'età di 66 anni e 65 giorni,... concluse la sua vita il Magnifico (un titolo che noi posteri vogliamo dargli) Fancesco Maria Spinelli, in Aversa, dove il fratello Vescovo Niccolò gli celebrò esequie solenni..." (Estratto dal giornale "Tribuna Sud", Anno 1982, p. 11, autore Fedele Mastroscusa) A.B.
Nota del Libro Primo
54 (p. 128) Non abbiamo sicure notizie sulla relazione di parentela tra il nostro Diego Lanzetta, dottore in diritto, e quel padre G. F. Lanzetta, autore della preziosa cronaca del secolo XVII; ma tutto induce a credere che lo scrittore ora detto, appartenesse alla medesima famiglia del dottor Diego, poichè si sa che il primo era calabrese. Questa importante opera manoscritta, porta per titolo: "Le tradizionali origini di varij Cavalieri venuti nel Regno di Napoli, con le informazioni particolareggiate delle famiglie et altre maggiori notizie. - Cronica del Cappuccino, Padre Gesualdo, al secolo. G. F. Lanzetta, nell'anno 1673 di N[ostro] S[ignore]."
Note del Libro Quarto
2 (p. 327) Miglior ricordo della casa Tufarelli fu il pingue legato da essa (p. 328) fatto a favore dei missionari, che spesso qui vennero a predicare, rammentando con grato animo lo spento casato come pure la biblioteca lasciata alla gioventù studiosa (che con lapide all'ingresso ricordava Tufarelli) nel monastero dei Cappuccini.
4 [3] Anche la nobiltà antica della casa di Tufarelli si potrebbe dimostrare mercè i nobili matrimoni, fra i quali basta ricordare quello di uno de'suoi membri con una signora della famiglia Gonzaga... Anche questo documento ci porge un buon esempio di quanto ho detto prima riguardo ai titoli ed epiteti che si davano con giusto criterio. - Donna Isabella la principessa - Donna Cardonia la baronessa dama Messinese - D. Francesco il sacerdote. Senza alcun titolo od epiteto sono nominati: Giuseppe fratello del defunto barone Muzio De Guaragna e Biagio figlio, anzi egli stesso il Barone, fino a quel momento in cui si vendette il feudo. - Più tardi troveremo scritto Donna Giulia (una principessa Orsini) e Donna Maria De Guaragna (una baronessa).
5 Da questi dati par che risulti che Mormanno fu sempre suffeudo. Lo ebbe De Guaragna, per permuta, da Luca Antonio Renda di Morano, e Francesco De Guaragna figlio di Muzio nel 1638 lo permutò con Persio Tufarello.
Dunque Tufarelli non l'ebbe da Sanseverino come si crede, cioè dopo che il conte della Supenura ebbe tutti i feudi da Filippo IV.
Avrebbe potuto essere che si scambiassero i feudi di Mormanno e S. Basilio perchè la casa De Guaragna, rovinata fin dal 1624, ebbe bisogno dell'eccedenza del valore del suo feudo su quello di Tufarelli, o perchè l'eccedenza si assegnò per dote a Donna Maria De Guaragna figlia di Muzio che sposò un Tufarello.
Esistendo ancora in Mormanno i discendenti del barone Persio Tufarelli nella persona di D. Vincenzo, fratello e cugini, lo chiesto loro spiegazioni in proposito, ma essi mi risposero saperne meno di me e perchè non posseggano documenti in famiglia non han potuto conoscere neppure chi furono i genitori di Giovan Cristofaro, Persio e Rutilio. Se tante incertezze e sì profonde tenebre regnano sopra fatti che non rimontano a più di due secoli e mezzo, non deve far meraviglia che anche più se ne trovino per le case e le persone che risalgono a'secoli tanto lontani, benchè io spendessi tutta la mia vita nel frugare archivi, consultare autori e documenti d'ogni specie.
8 [7] Dall'Istoria della Magna Grecia e della Brezia di Nicola Leoni, Vol. II pag. 160-178. Con altro diploma concedesi dallo istesso imperatore in feudo a Ruperto Pappasidero tre contrade nell'agro di Morano la Cotura, l'Olivaro e Santo Nicola.
"Henricus Sextus Dei gratia Romanorum Imperator semper Augustus et Sicilianorum Rex, Ruperto Pappasidero nobili viro, nostro fideli, dilecto gratiam et bonam voluntatem. - Cum Caesareae Maiestati suetum sit virtuti et fidel subditorum condigno praemia tribuere, quod nostra quoque assolet celsitudo: ideirco cum noster carissimus consanguineus Henricus Kalà, noster in Siciliorum Regnis vicarius nobis retulerit, te nobis ipsique Herrico summa fide et virtute nulla et grandia servitio praestitisse, volentes nos illis praemia condigna impertiri, tenore praesentium, de certa nostra scientia, deliberata voluntate ac superna potestate tibi praefacto Ruperto Pappasidero, tuisque haeredibus et successoribus in perpetuum ex tua stirpe descendentibus damus, concedimus et largimus tria feuda, sita in territorio nostrae terrae Murani in Provincia Citerioris Calabriae, unum dictum de Cutura, alterum Olivaro, tertium Santo Nicola, cum omnibus iuribus, redditibus, actionibus, honoribus ad illa quomodocumque spectantibus, ac concedi solitis, et consuetis, sub contingenti feudali servitio, quoties iuxta usum et consuetudinem indicabitur, sancientes praesenti privilegio, ut nulla omnina persona in dictis feudis audeat quovis modo contra istius tenorem te ac tuos successores molestare. In cuius rei testimonium praesens privilegium fieri et Caesareo nostro sigillo in pendenti firmari imperavimus.
Datum Panormi die quinta Julii MCXCVI Henbic A." Ho trascritto questo numero per mostrare Kalà e Pappasidero dei quali una volta fu negata l'esistenza*, e per dimostrare che Morano non fu feudo dei Normanni.
Fonte: Il presente materiale è stato estratto da "Morano e le Sue Case Illustri" per il barone Antonio Salmena. Milano 1882. Presso la Direzione Generale della Raccolta Daugnon e presso l'Autore, in Morano Calabro.
* Il barone Salmena forse si riferiva al seguente racconto, scritto da Nicola Leoni, nel suo secondo volume di "Della Magna Grecia e delle Tre Calabrie: Ricerche", Napoli, Tipografia di Vincenzo Priggiobba, 1845, a pag. 104 -105:
[Castrovillari] "Questa terra fu sempre madre feconda d'illustri cittadini intenti alle lettere, ed agli esercizi delle armi, e posciaché o nulla di loro si sa, o non si crearono un nome nella repubblica letteraria, così noi non parleremo che di pochissimi. E prima di Carlo Calà. Da un breve cenno della sua biografia tutto si addimostra quanto é potente nel cuor dell'uomo il pensiere di nobiltà, e quante foli sa immaginare l'impostura, onde ottenersi dagl'incauti un premio, che altrimenti sarebbe indarno sperare. Quanti nati da una plebe, o nel tugurio dell'indigenza, largiti poscia dalla Diva dagli occhi ciechi sdegnando come un'onta gli umili natali si studiano di ritrovar in tempi più remoti l'origine di loro prosapia da sognati avi noti alla fama, e chiari alla virtù, onde addivennero alle genti segno d'insania, non meno che preda dell'impostura. Tanto avvenne a Carlo Calà, e noi lo ripetiamo solo per non tradir l'istoria.
E' respirò le prime aure di vita nel 1618 in Castrovillari [Questa ricercatrice non ha trovato nessuno nato 'Carlo Calà' nel 1618 in Castrovillari, nè a S. Maria del Castello, nè a S. Maria Cirindola, o a S. Pietro la Cattolica. Manca S. Giuliano A.B.]; indarno altri lo vorrebbe, fuor di ogni ragione, oriundo di Napoli, o di Cosenza. Dandosi studio esclusivo le scienze legali, vi fece altri progressi che gli fruttarono nome, ed alte cariche, onde fu obbligato spesse fiate a scrivere su gl'interessi della corte di Spagna col regno di Napoli, ed a presedere alla compilazione delle Prammatiche che si facevano dall'Aldimari. Si acquistò il titolo di duca incomperandosi per ducati 50000 il feudo di Diana, ed un egual tempo si ebbe il marchesato di Ramonte, e Villanova. A tutti questi titoli aggiungeva una certa singolare probità, un'animo ingenuo. Solo un'indocile pensiere di più alta nobiltà oltremodo lo governava, questo pensiero era in lui, come
"La procellosa, e tripida
Gioia d'un gran disegno".
Non mancò l'impostura a proccurargli la sognata nobiltà. Ferdinando Stocchi, studiato l'animo di lui, gli presentò un dì un'involucro di scritture solo da lui immaginate. Egli le compra a larghe somme, e indocile senza mora, come colui ch'è per aprire gli occhi ad un nuovo mondo, avidamente le svolge, e senza dar luogo ad un'analisi critica vi legge, e si persuade - originar la sua famiglia dal real sangue d'Inghilterra, e di Borgogna, e che infine innestata con l'augusta casa di Staupen fosse trapiantata in Calabria da Giovanni, e da Arrigo Calà, l'uno, e l'altro generali sotto le bandiere di Errico VI., e che il primo annoiato delle armi, ed amando più la solitudine, e la croce, che lo strepito della guerra, e delle corti, ritirandosi in ermi luoghi, fosse stato caro al cielo, e, a lui aperto il gran libro del futuro, avesse avuto in mano i prodigi e i miracoli.
Ei lieto della sua pretesa nobiltà, per non lasciarne alle genti ignorate le notizie, dalle scritture medesime figlie dell'impostura, raccolse gli elementi, e ne scrisse l'istoria degli Svevi nella conquista del regno di Napoli, seguita da una lunga biografia del beato Giovanni Calà capitano generale degli Svevi. Nè questo solo. Fabbricato sotto il tetto domestico un templo, ne ottenne dal pontefice la traslazione solenne delle ossa del suo beato. Vedi! lo Stocchi con devoto raccoglimento seguitando il sacro deposito tra la folla della accorsa città, andava a quando a quando seco stesso ripetendo,
Felices asini qui tot mervistis honores,
Quot iam romulei vix meruere duces!
Sacro deposito! non erano quelle le ossa del beato, eran le ossa di un'asino, che lo Stocchi aveva mandate alla terra per dar maggior credito alle sue imposture, Eppure non segno, non parola di tanta empietà. A quelle ossa si bruciarono incensi, furono offerti voti e preghiere, si ebbero le adorazioni de' fedeli! Solo il terrore della morte di Angelo Matere di Cosenza complice anche esso svelò l'impostura. Il templo fu scrollato, e proscritta l'istoria dalla inquisizione romana.
Tra le altre resta di Carlo Calà un'opera intorno alla successione che si può acquistare, e conservare per via di patti."
Con tutto che il povero Carlo Calà fu ingannato dallo Stocchi, nel Catasto Onciario di Porcile (oggi Eianina) alcuni contadini lavoravano la terra in una zona chiamata "Il Feudo di Calà" (Vedi collegamento sopra) nel 1752, dimostrando al meno l'esistenza del nome in quell'epoca, e di un feudo avuto in epoca ignota.
Annotazioni: Atti demaniali - La riforma più importante del Decennio francese è stata l'eversione della feudalità, realizzata con la legge del 2 agosto 1806, che non solo ha segnato la fine della giurisdizione baronale, ma ha posto all'ordine del giorno la questione dei demani ex-feudali.
Queste terre in parte rimasero in possesso degli antichi baroni, che però le detenevano come beni allodiali (il termine allodio deriva dalle parole tedesche all e Gut ed indica il pieno possesso di un bene, svincolato da ogni onere feudale. I termini allodiale e burgensatico sono, pertanto, sinonimi: designano la proprietà a pieno titolo di natura borghese (burgensis) e non feudale) ed in parte diventarono beni demaniali, attraverso i quali il governo si proponeva di creare una piccola proprietà contadina.
Fonte: Archivio di Stato di Salerno